" Si è tifosi della propria squadra perchè si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. E' un segno, un segno che ognuno riceve una volta per sempre, una sorta di investitura che ti accompagna per tutta la vita, un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme alla tua innocenza, tra fantasia, sogno e gioco."

domenica 8 settembre 2024

La partita prima della partita...

 

di Roberto48


Ci sono frasi, espressioni, incipit che, come una sferzata benefica di passione, lasciano un segno profondo in chi si trova  in un certo momento da quelle parti. Come un verso di una poesia, scritta da un grande tifoso di calcio, Giovanni Raboni (1932 – 2004, poeta, drammaturgo, critico teatrale, editorialista del “Corriere della Sera” nonché traduttore di tutta la Recherce di Proust, e...fedele interista).

“Allo stadio andavamo presto, non volevamo perdere la partita prima della partita...”

C'è tutto un mondo onirico in questa espressione che vede il calcio non unicamente come  una mera manifestazione sportiva ma alla maniera di una storia che ci coinvolge innanzitutto nelle fenditure dove giace quel sentimento che fa dire, sempre al poeta milanese, “Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita. Si è tifosi di quello che si è stati e di quello che si desidera continuare ad essere”.

“La partita prima della partita” : il profumo dell'erba ancora intatta, il sentimento dell'attesa, gli spalti non ancora completati dalla macchia dei tifosi che lentamente si avvicinano allo stadio, i primi commenti, ”oggi è difficile”, “ce la faremo a vincere?”, “loro hanno un campione che può risolvere la partita e a noi manca il migliore, si è infortunato in allenamento”. Il desiderio del successo sempre e comunque. In questa sospensione del tempo sta tutta la magia per un'età a venire nella quale ci racconteremo gli avvenimenti accaduti. per gioire o rammaricarci.

La partita dal vivo diventa un avvenimento impareggiabile soprattutto se confrontato a ciò che viene trasmesso dalla televisione. “Che tristezza le partite di calcio alla televisione, Niente prima, niente dopo. Nessuna storia, nessuna realtà in cui inserirle” così ancora affermava Raboni che detestava quelle telecronache, se pur non ancora urlate  e impersonali come le attuali. Nel suo calcio poetante accettava ancora Bruno Pizzul pur rimpiangendo la voce seducente di Nando Martellini. Personalmente aggiungerei i giganti della parola sportiva come Sandro Ciotti, Enrico Ameri, Alfredo Provenzali, Roberto Bortoluzzi.

La partita dal vivo è anche l'attesa per il ritorno a casa, il racconto di un'avventura, di chi ha visto accadimenti indimenticabili come per me è stato il gol di Gullit al Milan. Lo stadio tremava, i tifosi ballavano di gioia, il dio del calcio aveva illuminato Marassi. Si poteva proprio dire. “Io ne ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi..” Ripenso allora ai tanti giocatori che hanno lasciato un'impronta indelebile nel mio cuore di tifoso e hanno capito la storia che stavano vivendo. Ora è tutto più difficile. Impalpabile la sostanza di cui sono fatti. Il senso di appartenenza è pressoché scomparso. Mi è molto piaciuta a tal proposito l'intervista di Francesco Flachi ( su Repubblica 3/9), a proposito di chi rimarrà nella memoria, quando afferma: “La Sampdoria è un paradiso, si gioca in uno stadio unico, con un pubblico meraviglioso...” E poi arriva un'insolita quantunque azzeccatissima e profonda testimonianza “I giocatori capiranno cosa hanno perso quando saranno andati via. Non esiste nessun condizionamento.”

Ma chissà per quanti sarà così. Non sono più i giocatori dell'Italia in bianco e nero del tempo di Raboni. Non sono più sedimentati nella nostra vita come pietre miliari di un percorso che non finisce se non con la nostra dipartita. Sono solo vaghe e impalpabili meteore che se ne sono fuggite in un indistinto universo fasciato di dollari o di pochi centesimi per chi è solo uno spento ricordo per quelli che restano.

 

 

 

 

9 commenti:

Modernist359 ha detto...

Parole bellissime ed emblematiche che mettono in risalto una bella fotografia di ciò che era l'atmosfera comunicativa sugli spalti prima di un incontro tanto atteso. Oggi, tra gente incollata al cellulare e vari vizi che qualcuno ha preso prima di entrare allo stadio, il rumore assordante degli altoparlanti che ti impedisce di comunicare normalmente con chi ti è seduto vicino, il menefreghismo di tanti giocatori che non hanno più il senso di appartenenza se non quello del dio denaro, il business televisivo a pagamento, risulta molto difficile rivivere le emozioni descritte in questo stupendo articolo. Grazie Roberto.

Anonimo ha detto...

e le radioline a transistor e le corse a casa per vedere "un tempo di una partita di calcio" (non si sapeva quale) alle 19.15 dove le mettiamo? Certo, come in tutte le cose della vita, l'attesa era quasi sempre più emozionante del match. Per noi milanesi c'era il rituale del viaggio in tram coi panini, la fatica di accomodarsi sui gradini dei popolari o dei distinti (gelati d'inverno e bollenti d'estate) e per noi milanesi sampdoriani la paura di uscire sconfitti e a volte la sorpresa incredibile di vincere in contropiede (l'1-2 dello scudetto) ma anche un paio di vittorie contro il milan (in particolare l'1-2 con gol in rovesciata di cerezo, che non ho visto perché stavo tornando di corsa in piazzale lotto dove avevo la macchina. Mi è bastato l'urlo della folla per capire e per gioire).
Come tutti i vecchi rimpiangiamo il passato, ma non è solo nostalgia, caro omonimo....

Roberto 48 ha detto...

Sei robmerl?

Riccardo ha detto...

Che bella fotografia Roberto, di un calcio bello, della gente che ormai non esiste più e che hanno demolito fino alle fondamenta. Mi ritrovo anch’io in qualcosa che racconti, quando con mio nonno ci ritrovavamo davanti ai cancelli ancora chiusi, e quando si aprivano , una volta staccato il tagliando dell’abbonamento e dopo la perquisizione di rito, di corsa a prendere i posti migliori (all’epoca non c’erano i posti numerati) per noi e per gli amici che venivano da lontano . Poi l’ingresso dei giocatori in campo in giacca e cravatta, l’ovazione e i vari cori indirizzati ai vari giocatori. Poi il riscaldamento e la partita con le maglie che andavano dall’1 all’11. Che nostalgia, ma anche che fortuna aver vissuto quei tempi.

Anonimo ha detto...

sì sono robmerl ma mi sono dimenticato di taggarmi...laudator temporis acti, ma che tempi!!!!

Semarco ha detto...

Bellissimo articolo, emozionante, era proprio così, un altro mondo, ora prima della partita non si riesce neanche a parlare per la pubblicità, non si è concentrati, i giocatori tutti gli anni cambiano a valanga, quando hai imparato a conoscerli dalle movenze, dalla posizione, se ne vanno, negli ultimi anni non ho ricordi particolari se non di Quagliarella, in precedenza Pazzini e Cassano, nei decenni prima ne ho a bizzeffe, ne voglio citare uno riguardo a Lodetti, non mi ricordo contro chi giocavamo, la palla stava scivolando lentamente in fallo laterale, nessuno di quelli più vicini, né nostri né avversari interveniva, partì lui da decine di metri e la recuperò per un soffio, venne giù lo stadio

Anonimo ha detto...

Caro Semarco
Lodetti, detto Basletta, era quello che a Milano andava agli allenamenti all"Arena in tram e consegnava lo stipendio ai genitori
Per i tempi attuali un autentico marziano!!

Anonimo ha detto...

Roberto 48

robmerl ha detto...

senza di lui Rivera non sarebbe stato Rivera